Le nostre fontane

8 Febbraio 2019 Off Di Armando Mortet

Innamorata nei secoli della sua ricchezza idrica, conquistata grazie ai suoi acquedotti, Roma l’ha sempre celebrata con le sue terme e le sue fontane. Queste, dapprima addossate a mura e pareti o collocate negli angoli delle strade e palazzi, per lo più destinate ad alleviare la sete di viandanti e di quanti non avevano acqua nelle case, andarono crescendo in dimensioni e splendore di forme fino a diventare monumenti.

In essi per un mirabile sincretismo di architettura, scultura e fresco concerto di suoni lo spirito aulico della città eterna si specchia e si fa eco di storia, riflesso di bellezza sempre rinnovata e diversa. “Aquam liberam gustabunt” affermava Petronio: acqua come libertà, da gustare per diritto di vita. Con l’età del rinascimento e via via con il procedere delle epoche successive il fasto esterno entrava nelle abitazioni, si trasferiva dalle piazze alle sale dei banchetti, approdava alle mense. La fontana, tradotta in capolavori di cesello e scultura, preziosa d’argento e oro, di varietà di pietre rare, diventava ornamento, illuminava i cibi, regalava ai commensali la silente suggestione dell’acqua. Gli aperti “teatri dell’acqua” occupavano così gli spazi domestici. Eccelsi artisti, da Benvenuto Cellini a Luigi Valadier, da Giuseppe Giardini e Vincenzo Coaci, cesellano fontane in miniatura a servire da calamaio e centro tavola, per papi, cardinali, re e principi.

Eredi di quell’arte giustamente detta “sublime” da Clemente VII Medici, i Mortet continuano nelle loro botteghe a trasferire dalle piazze alle tavole la grazia e la luce delle fontane di Roma.

Fontane la cui “acqua sognata” trattiene e trasmette,per la magia di un’arte raffinata, l’incanto delle opere originali che muovono a meraviglia chi percorre le strade e le piazze di Roma.

(Vincenzo Labella)